« on: Sunday, 21, August 2011, 06:23:32 PM »
:) Ed eccomi a parlare di pasta tra storia e scanzonata ironia :)
"L'acqua bolliva, calò la pasta . Squillò il telefono, ebbe un momento d'esitazione, incerto se rispondere o no. Temeva una telefonata lunga, che magari non era facilmente troncabile e che avrebbe messo a rischio il punto giusto di cottura della pasta. Sarebbe stata una catastrofe sprecare la salsa corallina con un piatto di pasta scotta. Decise di non rispondere. Anzi, per evitare che gli squilli gli turbassero la serenità di spirito indispensabile per gustare a fondo la salsetta, staccò la spina."
(da "La voce del violino" A.Camilleri)
« ... quando scocca l'ora del pranzo, seduti davanti a un piatto di spaghetti, gli abitanti della Penisola si riconoscono italiani... Neanche il servizio militare, neanche il suffragio universale (non parliamo del dovere fiscale) esercitano un uguale potere unificante. L'unità d'Italia, sognata dai padri del Risorgimento, oggi si chiama pastasciutta »
(C. Marchi, Quando siamo a tavola, Rizzoli, 1990)
LA STORIA
Chi ha inventato la pasta ? una bella diatriba.. Cina o Italia ?
Che Marco Polo al ritorno dai suoi viaggi in Cina fece conoscere la pasta è solo una leggenda .. c'è chi afferma che già in Italia Marco Polo aveva gustato le lasagne e addirittura le aveva portate con sé a Venezia.
"Chi sarà stato ?"
Ho letto cento libri de cucina.
de storia, d'arte, e nun ce nè uno solo
che citi co' la Pasta er Pastarolo
che unì pe' primo l'acqua e la farina.
Credevo fosse una creazione latina,
invece poi, m'ha detto l'orzarolo,
che l'ha portata a Roma Marco Polo
un giorno che tornava dalla Cina.
Pe' me st'affare de la Cina è strano,
chissà se fu inventata da un cinese
o la venneva là un napoletano.
Sapessimo chi è, sia pure tardi,
bisognerebbe faje... a 'gni paese
più monumenti a lui.. che a Garibardi !
(Aldo Fabrizi)
Nel XVI secolo i maccheroni diventano il simbolo di un popolo ignorante ed affamato e Teofilo Folengo, mantovano, diventa l'esponente più conosciuto della poesia maccheronica , un vero e proprio genere letterario che facendo uso del latino maccheronico (un misto di parole latine e italiane con desinenze e assonanze latine) e di uno stile alquanto grossolano, volgare e privo di alcuna grazia si contrapponeva allo stile accademico e forbito.
Dal '700 in poi buona parte della letteratura si occupa dei maccheroni tanto amati anche da Giacomo Casanova che dopo un'abbuffata venne incoronato "il principe dei Maccheroni" ma l'opera che contempla la pasta e che cita per la prima volta la parola "spaghetto" fu "Li Maccheroni di Napoli" di Antonio Viviani, del 1824 in cui l'autore si diverte a raccontare in versi le varie fasi della lavorazione della pasta, dalla farina al maccherone pronto in tavola !
Curiosa diatriba ebbero i maccheroni con Giacomo Leopardi che non amava tale cibo e anzi criticando aspramente i napoletani e il loro sviscerato amore per i maccheroni scriveva
"tutta in mio danno
s'ama Napoli a gara alla difesa
de' maccheroni suoi; ch'ai maccheroni
anteposto il morir troppo le pesa"
La risposta non tardò e arrivò per le rime de "La maccheronata" di Giovanni Quaranta
"E tu fosti infelice e malaticcio
O sublime Cantor di Recanati,
che, bestemmiando la Natura e i Fati,
frugavi dentro te con raccapriccio.
Oh mai non rise quel tuo labbro arsiccio,
né gli occhi tuoi lucenti ed incavati,
perché... non adoravi i maltagliati,
le frittatine all'uovo ed il pasticcio!
Ma se tu avessi amato i Maccheroni
più de' libri, che fanno l'umor negro,
non avresti patito aspri malanni...
E vivendo tra pingui bontemponi,
giunto saresti, rubicondo e allegro,
forse fino ai novanta od ai cent'anni."
La pasta valica i confini dell?Italia arrivando prima in Francia dove venne diffusa la cucina rinascimentale italiana, poi in Inghilterra, ve n'è traccia in una commedia del''700 dal titolo "The Macaoni" e finanche in America per merito degli emigranti italiani (mangiamaccheroni) fino ad arrivare alle "spaghetti-house" e alle innumerevoli e fantasiose ricette con i vari formati.
LE RICETTE NEL TEMPO
Diffondendosi la pasta si diffuse anche l'esigenza di avere delle precise indicazioni su come prepararla e così nel 1450 Maestro Martino, cuoco del Reverendissimo Monsignor Camerlengo et Patriarca de Aquileia, indica nel suo "Libro de arte coquinaria" come preparare Maccaroni romaneschi, Maccaroni siciliani e Vermicelli, delle vere e proprie ricette in cui gli impasti sono preparati generalmente con farina e acqua, i maccheroni vengono poi cotti in acqua o brodo per tempi molto lunghi, anche due ore e conditi con burro, cacio e spezie dolci. Da Maestro Martino trasse ispirazione il Platina che scrisse il primo libro di cucina mai stampato, il 'De onesta voluptate ac valetudine' tradotto nel 1505 in francese contribuendo così a diffondere oltralpe il gusto italiano. Nel '500 dunque la pasta comincia a diffondersi ma non è ancora un cibo popolare piuttosto un alimento riservato agli aristocratici e alle corti.
Anche nel trattato gastronomico del Sappi L"Opera" del 1570 si leggono ricette con descrizioni dettagliate degli ingredienti e compaiono, per la prima volta, i vari formati: tagliatelli, maccaroni e maccaroni gnocchi, è ridotto anche il tempo di cottura, dalle 2 ore si abbassa ai 30 minuti necessari per preparare degli ottimi maccaroni alla romanesca. I primi ingredienti usati , per condire la pasta, sono dolci ovvero zucchero, cannella, miele e l'unico salato è il formaggio, parmigiano, provolone o semplicemente cacio, da qui il detto "come cacio sui maccheroni", a volte viene aggiunto anche il burro alla pasta appena scolata o nel brodo di cottura per insaporire il piatto nei giorni di magra . Tali documenti testimoniano comunque che i più svariati non erano gli ingredienti usati per il condimento piuttosto i modi di cuocere la pasta " brodo di carne, di cappone, di burro, di spezie", solo nel '700 compaiono diversi e nuovi condimenti salati come il pesto alla ligure ma ancora e stranamente non compare il pomodoro come ingrediente principale ma bensì usato nel brodo con altre verdure ma non sulla pasta. Il connubio tra pasta e pomodoro arriverà nel 1839 nell'appendice "Cucina casereccia in dialetto napoletano" della "Cucina teorico-pratica" di Ippolito Cavalcanti, duca di Buonvicino (1787-1860).
Vermicelli con lo pommodoro
"Piglia rotoli 4 (Kg. 2,760) de pommodoro, li tagli in croce, li levi la semenza e quella acquiccia, li fai bollire, e quando si sono squagliati li passi al setaccio, e quel sugo lo fai restringere sopra al fuoco, mettendoci un terzo (gr.275) di sugna, ossia strutto di maiale. Quando quella salsa si è stretta giusta bollirai 2 rotoli (Kg.1,380) di vermicelli verdi verdi (tipica espressione napoletana per significare al dente) e scolati bene, li metterai in quella salsa, col sale e il pepe, tenendoli al calore del fuoco, così s'asciuttano un poco. Ogni tanto gli darai una rivoltata, e quando son ben conditi li servirai."
Questo basterà ai napoletani per istruire il mondo su come condire la pasta e nel 1855 Gioacchino Rossigni, pur non essendo napoletano, famosissimo per la sua cura nel preparare i maccheroni diceva
"Perché i maccheroni riescano appetitosi occorre buona pasta, ottimo burro, salsa di pomodoro e parmigiano eccellenti e una persona intelligente che cuocia, condisca e serva".
I VARI FORMATI
Per tutto il '700 i molini usavano lo stesso procedimento per macinare il grano, su una macina "a dormiente" (detta così proprio perché stava ferma sul terreno) ruotava un'altra macina identica "la girante" con un foro centrale in cui veniva versato il grano macinato, dalla pressione di entrambe le macine ne usciva, ai lati, "la semola". "La gramola", una vasca rotonda di legno con una mola di pietra posta al centro in verticale, veniva girata a forza di braccia e accoglieva la semola mista ad acqua tiepida che veniva così impastata, procedimento in uso a Genova al contrario di Napoli dove l'impasto avveniva a forza di piedi. Avveniva poi la "gramolazione", l'impasto di semola veniva trasferito in un grosso contenitore e percosso da un asse di legno che si muoveva al ritmo (cantato) di tre operai che alternandosi si sedevano e si alzavano consentendo ritmicamente la battitura dell'impasto, ne venivano infine prelevate piccole quantità che attraverso un disco di bronzo "la trafila" ( bucherellato in maniera da riprodurre dei disegni diversi) producevano i vari formati di pasta.
Con l'aumentare del consumo e della produzione anche i macchinari si innovarono, alla fine dell'Ottocento comparvero le prime impastatrici meccaniche, i torchi vennero sostituiti da presse idrauliche il cui difetto era quello di interruzioni continue per poter essere caricate nuovamente; nel 1930 si assiste ad una vera rivoluzione con la pressa continua che permette l'impasto, la gramolazione e la trafila evitando tutte le estenuanti interruzioni migliorandone i tempi e riducendone i cicli di lavorazione ad un unico ciclo. Fu l'essiccazione artificiale a far fare alla pasta il salto da prodotto "artigianale" (per cui l'asciugatura era affidata alla clemenza del tempo e all'intuito degli operai che utilizzando le variazioni metereologiche ne permettevano la giusta essiccazione) a prodotto " industriale " (con l'uso delle moderne celle di essicazione favorendo l'esaltazione dei valori organolettici della pasta).
La produzione industriale della pasta nonché l'uso altrettanto industriale consente, quindi, interpretazioni e applicazioni fantasiose e creative ,essendo un alimento neutro, qualsiasi ingrediente va bene purché se ne esalti il gusto e vengano rispettati i canoni tradizionali, i formati di pasta lunghi e sottili richiedono sughi decisi a base d'olio per favorire la fluidità e per evitare l'incollamento, al contrario i formati di pasta corta o all'uovo si legano bene a condimenti con panna, besciamella o salse ben legate. Arriva nel 1973 la "nouvelle cuisine" che rinnova la cucina e quindi anche la pasta con fantasia ma soprattutto con ingredienti freschi e di alta qualità per contrastare l?uso eccessivo di grassi nelle ricette ridondanti di tradizione ma contrari ai principi di buona salute a tavola.
Ed ora mi affido alla penna di Aldo Fabrizi che con sorniona sagacia ci spiega come cuocere la pasta
"La cottura"
Nun è 'na cosa tanto compricata,
però bisogna sempre fà attenzione
perché ce vò 'na certa proporzione
tra tipo e quantità che va lessata.
Me spiego: quella fina e delicata
va bene tutt'ar più pe' du' persone,
ma si presempio se ne fa un pilone
basta un seconno in più che viè incollata.
Insomma, c'è 'na regola importante:
fino a tre etti se pò fà leggera
poi più s'aumenta e più ce vò pesante.
Er sale è mejo poco, l'acqua assai,
un litro a etto, l'unica maniera,
perché la Pasta nun s'incolli mai.
Un'antra cosa: mai bollilla stretta,
e quanno l'acqua è in piena bollitura,
se butta giù e la pila se riattura
pe' fà riarzà er bollore in fretta in fretta.
Poi dopo un po' s'assaggia: n'anticchietta;
appena è cotta, ancora bella dura,
se leva e je se ferma la cottura
coll'acqua fresca sotto la bocchetta.
Doppo girata un attimo, scolate:
quanno l'urtima gocciola viè fòri
conditela de prescia e scodellate.
Si c'è quarcuno attenti a controllavve:
« mangiate calmi, piano, da signori » ,
si state soli... attenti a nun strozzavve.
E i suoi consigli su come utilizzare la pasta che avanza
"La Romanella"
Mì nonna, benedetta indó riposa,
se comportava come 'na formica
e puro si avanzava 'na mollica
l'utilizzava per un'antra cosa.
Perciò er dovere primo d'ogni sposa,
pure che costa un'oncia de fatica,
è d'esse sempre, a la maniera antica,
risparmiatrice, pratica e ingegnosa.
Si avanza un po' de pasta, mai buttalla:
se sarta co' un po' d'acqua solamente,
pe' falla abbruscolì senz'abbrucialla.
E la riuscita de 'sta Romanella
che fa faville e che nun costa gnente
dipenne da 'na semplice padella.
Mò l'urtima invenzione è 'na padella,
che quello che se còce poi se stacca,
mastice, colla, pece e ceralacca,
se rivorteno come 'na frittella.
'Sta novità sarà 'na cosa bella,
ma dato che la Pasta nun attacca
in pratica sarebbe 'na patacca
perché dev'esse mezz'abbruscatella.
Vedete, er gusto nun dipenne mica
dar fatto che diventa più odorosa,
ma dar sapore de padella antica.
E detto questo, porca la miseria,
fò a meno de la chiusa spiritosa,
perché 'sto piatto qui è 'na cosa seria!
E una chicca finale .. da noi in Sicilia si chiama "cunsulu" ovvero la preparazione di una pietanza (in genere una teglia di pasta al forno succulenta e adatta al trasporto ) da parte del parentado per consolare chi deve vegliare l' "amato defunto" ormai usanza non più praticata se non nei piccolissimi centri ma riscoprirlo nelle parole di Aldo Fabrizi mi ha riportato alla mente ricordi d?infanzia antichi e piacevolissimi.
"L'invito"
Nun m'aricordo bene in che paesetto,
quanno che mòre un capo de famìa,
er parentado je fà compagnia,
facenno un pranzo intorno ar cataletto.
La tradizione vò che 'sto banchetto,
preparato durante l'agonia,
se faccia, senza tanta ipocrisia,
cor medico, cor prete e'r chirichetto.
Doppo li pianti la famìa se carma
e ar punto che la pasta viè servita,
se brinda a la salute della sarma.
Poi c'è l'invito pe' nun faje un torto
e si a st'invito nun ritorna in vita,
significa ch'er morto è propio morto.
Buona Pasta a tutti !
www.pasta.it/
« Last Edit: Monday, 22, August 2011, 12:02:51 AM by maurida »

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me tocca de pasticcia' ... pe' forza ...!!!!

e quindi

"Apprezzatemi adesso, eviterete la coda !" (A.Brilliant)
